Non è, a mio avviso, il caso di dilungarsi su questioni già ampiamente discusse quali l’opportunità degli “scioperi generali” del sindacalismo di base nel momento in cui ragioniamo su quello del 27 ottobre.
E’ evidente, infatti, che si tratta di una forma di azione “ibrida” a metà fra il conflitto effettivo e l’agire comunicativo, che va valutata caso per caso per la sua concreta efficacia ed opportunità.
In questo caso sono argomenti a favore dello sciopero del 27 ottobre per un verso il successo dello sciopero dei trasporti del 16 giugno e, per l’altro, il fatto che si colloca in un momento sindacalmente interessante a causa della scadenza dei contratti, in particolare del pubblico impiego e della scuola, senza dimenticare che in questi mesi le ragioni che rendono necessaria una mobilitazione sono, se possibile, aumentate.
Alcune informazioni sulla preistoria contemporanea
Fatto salvo che ciò che veramente conta è la situazione sociale generale, la possibilità di sviluppo di mobilitazioni importanti, può essere utile premettere ad ogni altra considerazione una rapida cronistoria.
Lo sciopero del 27 ottobre è stato indetto dal medesimo cartello di sindacati ( CUB SGB Si Cobas e USI AIT) che ha indetto lo sciopero del 16 giugno, al quale si è aggiunto lo Slai Cobas, e cioè da quei sindacati che non hanno firmato l’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, un accordo indecente che scambia diritti dei sindacati con i diritti dei lavoratori.
L’indizione è stata fatta a giugno ed è stata resa “ufficiale” sul sito della Commissione di Garanzia per, in realtà contro, l’Esercizio del Diritto di Sciopero all’inizio di luglio.
Lo sciopero è stato quindi indetto con un anticipo fuor di misura, oltre 4 mesi, essenzialmente per due ragioni:
“prenotare” la data in modo da non avere problemi derivanti dalla legislazione antisciopero è sin ovvio, per evitare di trovarsi nella poco simpatica situazione di dove decidere una data in presenza di uno sciopero già indetto dall’ Unione Sindacale di Base che del suddetto cartello, in quanto firmataria dell’accordo del 10 gennaio 2014, non fa parte.
Se vogliamo, quindi, una scelta “tecnica” che ha però delle premesse e delle ricadute politiche sin evidenti.
Proviamo quindi a esaminare la questione nella maniera più chiara possibile, visto che sull’argomento, almeno a mio avviso, si fa molta confusione in buona o in cattiva fede.
Sulle divisioni nel campo del sindacalismo di base
E’ di moda, nella sinistra politica e sindacale, liquidare le differenze di posizioni fra le organizzazione del sindacalismo di base come il prodotto di una classica lotta di potere fra piccoli apparati e, con ogni evidenza, che vi siano volontà di autoaffermazione, narcisismo, settarismo, non si può negare.
Se, però, si va oltre la scoperta dell’acqua calda chiunque sia intellettualmente onesto non può che riconoscere che siamo di fronte a una divaricazione di posizioni che ha delle ragioni sin troppo fondate e cioè, come già si è rilevato, la rottura nei fatti e non nelle chiacchiere con la tradizione gesuitica della sinistra sindacale sulla cui base si levano numerose lamentele e critiche nei confronti dell’avversario di classe e di ciò che impone per poi appecorarsi serenamente in nome del bene dell’organizzazione.
Nei fatti quindi il rifiuto della firma di quell’accordo è stata, nel senso migliore del termine, una novità positiva e, come in diverse occasioni ha sperimentato personalmente chi stende queste riflessioni ed è comunque noto, è una scelta pagata con la perdita di diritti e una difficoltà notevolissima a condurre l’azione sindacale.
Non siamo insomma di fronte a una divergenza, come direbbe qualcuno, tattica, ma – piaccia o meno – ad una scelta di campo.
Fra l’altro, le due differenti scelte rendono impossibile, a meno di non cadere in una sorta di schizofrenia politico-sindacale, la definizione di una piattaforma comune dato che, sulla base del secondo principio della logica, quello di non contraddizione, non ci si può battere contemporaneamente a favore e contro la libertà sindacale.
Problemi e preoccupazioni
Torniamo ora alla preistoria dello sciopero del 27 ottobre, visto che abbiamo la possibilità di descriverne le evoluzioni.
Ovviamente, l’indizione di sciopero non era clandestina ed anzi, quantomeno nel mondo sindacale non istituzionale o non del tutto istituzionale, è stato oggetto di grande attenzione.
In particolare, settori dell’opposizione dell’Unione Sindacale di Base hanno immediatamente lanciato una campagna per l’allargamento dello sciopero e perché lo indicessero anche, in particolare, l’USB e la Confederazione Cobas. In ogni caso, con ogni evidenza, quanto meno l’USB si trovava in una situazione imbarazzante visto che altri avevano già “prenotato” lo sciopero d’autunno e che era stretta fra tre scelte, tutte e tre problematiche:
1.non fare nulla;
2.indire sciopero il 27 ottobre accodandosi ad una mobilitazione già lanciata;
3.indire un altro sciopero esponendosi all’accusa di aver diviso il fronte dell’opposizione sindacale.
D’altro canto, il gruppo dirigente dell’Unione Sindacale di Base non sarà costituito da persone geniali ma non è certo privo di “mestiere” e ha quindi trovato una quarta soluzione.
Il 29 di agosto, due mesi dopo l’indizione, l’USB ha inviato ai sindacati che avevano indetto lo sciopero una lettera con la quale dichiarava la propria disponibilità ad indirlo ma chiedeva in contraccambio uno slittamento di qualche settimana sulla base di motivazioni esplicitamente risibili, si affermava infatti che erano venuti a conoscenza dello sciopero in quei giorni e che un congresso delle giovani marmotte della federazione sindacale mondiale, l’internazionale sindacale stalinota a cui aderisce l’USB si sarebbe svolta in quel periodo cosa che avrebbe impegnato i dirigenti della stessa USB nel ruolo di Gran Mogol.
Immaginiamo per burla di essere di fronte ad una partita di tennis, in questo modo l’USB rilanciava la palla nella metà campo della CUB.
Di fronte alla proposta di USB, quantomeno nella CUB, si sono date due diverse ipotesi:
una, ampiamente di minoranza e sostenuta, fra gli altri, da chi scrive, di chi sosteneva che non era il caso di infilarsi nell’ennesima polemica sull’unificazione degli scioperi e che, ovviamente soprattutto per rispondere alla necessità molto sentita da militanti del sindacalismo di base di allargare la mobilitazione sarebbe stato opportuno spostare in avanti di un paio di settimane la data di sciopero in modo da levare a USB ogni argomento per accusare il cartello promotore di settarismo. Questo, naturalmente, mantenendo distinte le piattaforme di sciopero per le ragioni già ampiamente esposte;
chi, la maggioranza, riteneva che non ci si dovesse in alcun modo confondere con USB e che quindi non si doveva modificare la data di sciopero. E’ interessante notare, anche se non è possibile – per motivi di spazio – in questa sede una disamina puntuale di questo fatto, che dentro la CUB molti di coloro che avversavano più decisamente ogni disponibilità a rispondere in maniera non rigida alla stucchevole novità rappresentata dalla proposta di USB erano le persone meno dissimili, per storia e per cultura, dai dirigenti dell’USB.
Naturalmente la discussione è stata più complessa di come è stata riassunta, ma il risultato è ben chiaro, la CUB come SGB e USI AIT si è espressa contro lo spostamento.
Pochi giorni dopo, nonostante si fosse stabilito di rispondere con una lettera comune delle quattro organizzazioni promotrici a USB, il Si Cobas ha diffuso una propria risposta nella quale si assumeva unilateralmente l’ipotesi dello spostamento, cosa che determinava tensioni, dubbi, aspettative di varia natura nel cartello dei promotori e, va detto, maggior determinazione a insistere sulla richiesta di spostamento fra i non promotori.
Alla lettera del Si Cobas seguiva una lettera di ADL Cobas, una della Confederazione Cobas una dell’Unicobas, mi rendo conto che un non cobassologo può patire mentre legge queste righe di un discreto mal di testa, ma non posso in questo caso che dichiararmi innocente, che riprendevano l’ipotesi dello spostamento, anche perché in qualche modo la lettera dei Si Cobas sembrava aprire in questa direzione.
Ripeto, mi rendo conto che in questa vicenda vi è qualcosa di surreale proprio perché, alla fin della festa, la discussione verteva esclusivamente sulla data e non sulle motivazioni e gli obiettivi dello sciopero e perché era evidente che si trattava solo di non darla vinta all’interlocutore.
In altri termini, chi chiedeva lo spostamento aveva solo l’esigenza di non accettare una data già scelta e di dimostrare che contava, considerando infatti l’anticipo con cui lo sciopero era stato indetto, non vi era alcuna ragione tecnico – sindacale per posticipare lo sciopero né nessuno si sarebbe visto collocato in un ruolo marginale non foss’altro che perché il “peso” relativo delle varie organizzazioni si sarebbe misurato sul campo sulla base della capacità di mobilitare i lavoratori stessi.
Sia come sia, questa fase si è conclusa con la scelta di Confederazione Cobas, Unicobas e USB di indire uno sciopero separato il 10 novembre.
Uno scenario ipotetico
Ritengo lecito domandarsi se sarebbe stato possibile un esito diverso della dialettica fra le organizzazioni del sindacalismo di base sin qui poveramente descritta.
A mio avviso si. Non era, infatti, impossibile, ed anzi spesso è stato fatto, che soggetti sindacali diversi per natura e programmi per motivi di opportunità individuassero una data comune mantenendo differenze anche rilevanti nella piattaforma di sciopero.
Questa scelta avrebbe rafforzato la mobilitazione, avrebbe impedito di perdere tempo ed energie in polemiche di varia natura, avrebbe corrisposto al comune sentire dei militanti e degli aderenti dei sindacati di base ed ad un’area di lavoratrici e lavoratori combattivi che, senza essere organizzati negli stessi sindacati, vede con simpatia ed interesse azioni di lotta di una qualche rilevanza come si è ampiamente dimostrato in occasione dello sciopero del settore dei trasporti del 16 giugno.
La necessità di andare oltre i limiti attuali richiederà una battaglia politica forte e chiara che rivendicando con nettezza, parlo per chi non si è piegato all’accordo indecente, il rifiuto di sottomettersi alle regole imposte dall’avversario, sappia legare l’iniziativa di lotta alla capacità di allargare il fronte.
Fra l’altro, la critica alla logica neoconcertativa si fa soprattutto organizzando, cosa possibile solo a chi non si è piegato, lotte di massa contro leggi e accordi antisciopero.
Lo scenario reale
Si tratta ora di lavorare con forza e determinazione per lo sciopero del 27 ottobre che, comunque la si veda, ha il pregio di avere una piattaforma non ambigua, di non piegarsi a logiche di scambio con l’avversario, di chiarire in che campo si sta.
E’ il tempo, insomma, dell’azione!
Cosimo Scarinzi